venerdì 20 maggio 2011

Saggi (IX parte) L'immagine dell'Austria nella "Marcia di Radetzky"

Claudio Magris

L’Ulisse ebreo dell’est – Roth tra impero e Golus

Traduzione dal tedesco all’italiano di Gianni Casoni.

Come Musil e Broch (si pensi ai personaggi Tonka nell’omonima novella e a Ruzena nei Sonnambuli) anche Roth riconosce inoltre nell’elemento slavo una tale purezza che sembra permettere una piena dedizione alla vita al di là di ogni frattura/scissione intellettuale. Le parole slovene sulle labbra del padre sembrano all’eroe di Solferino nella MARCIA DI RADETZKY “ qualcosa di lontano già noto e di casalingo ormai perso “ (I, 7) , la lingua slava, che il nipote sradicato non capisce più , è come un oceano sconosciuto (I, 56) , l’impero prosegue a vivere ancora soltanto nel canto ruteno/carpato/ucraino : “ Oj nasch cisar, cisarewa “.

Nell’opera DESTRA E SINISTRA Brandeis appare come un “ mongolo, come un inquieto demone dell’est, che proprio perché è lontano dalle abitudini europee “ possiede uno stretto rapporto con la natura e con la primavera, che vengono poste sullo stesso piano della lingua russa (II, 563). Allo stesso modo nel romanzo I CENTO GIORNI vengono messi sullo stesso livello il pane fatto in casa e l’abete di Natale pieno di profumo (II, 737), e nella novella CAPOSTAZIONE FALLMERAYER (1933) alla lingua russa della contessa Walewska viene data la stessa importanza della patria (III, 78). In tutto ciò gioca certo un grosso ruolo il prevalente motivo politico, cioè l’austroslavismo, come è stato trattato da Roth nella tenace polemica antitedesca, dove questi si è spinto in avanti a tal punto da considerare tutti i popoli dell’impero come austriaci con l’eccezione degli austro-tedeschi. Qui c’è anche una parte metapolitica o per lo più uno spostamento sul piano metapolitico. La magia dell’anima slava è presente anche inconsciamente nella forza attrattiva che esercitano le “ nazioni senza storia “, se queste vengono intese secondo la tradizione, cioè come comunità di contadini locali ed in sé racchiuse, come custodi di valori non modificati che una generazione tramanda all’altra. Come ha provato Arduino Agnelli nel suo studio Questione nazionale e Socialismo proprio il pensiero austro-marxista ed in particolar modo quello di Otto Bauer aveva corretto una tale visione romantico populista vedendo nelle nazioni senza storia non isole arcaiche, ma entità storiche sopraffatte da forze oppressive e private/depredate per secoli di ogni strato guida e con ciò di ogni tradizione culturale e di ogni iniziativa politica. In questo senso tuttavia il primitivismo di Roth è tutt’altro che ironico e cosciente, come afferma Powell , esso è invece da definire sincero ed ingenuo : desidera davvero una comunità del tutto al di fuori della storia, così come Carl Joseph von Trotta desidera davvero ritornare alla vita di paese sloveno dove il tempo viene misurato da ciò che danno le donne ed i campi (I, 57). In questo modo Roth giunge ad una simbiosi ebreo-slava in nome di un comune destino senza storia. Come nel teatro ebreo a Mosca i diminutivi slavi offrono una morbidezza straordinaria ai testi jiddish (III, 485) così nell’opera LA CRIPTA DEI CAPPUCCINI lo sloveno Joseph Branco e l’ebreo galizio Manes Reisiger come interscambiabili incarnazioni di una forza naturale che non può essere ferita non possono venire danneggiati da violenze politiche. Nella MARCIA DI RADETZKY il nonno del medico militare Max Demant, l’oste/il padrone di casa ebreo, sublime e patriarcale con i suoi vecchi libri e la sua bianca barba, incarna un uomo assolutamente completo, paragonabile alla forza vigorosa del cosacco Nikita che spaventa Paul Bernheim (DESTRA E SINISTRA). L’est è senza storia come il sole che sorge là ogni mattina, e l’ebraismo è per Roth ebraismo dell’est, ciò che c’è “ di più ebreo “ (III, 488) perché più orientale, dionisiaco e libero come Manes Reisiger che fa pensare a “ la foresta primordiale, all’uomo delle caverne, alla preistoria “ (I, 342). L’ebraismo dell’est viene posto di fronte alla situazione spirituale europea come ideale positivo ed appare come un simbolo dell’est stesso ; Brandeis può essere “ mongolo “ o “ ebreo “ mentre l’anarchico Benjamin Lenz nella TELA DEL RAGNO (1923) emana risolutezza e “ calore “ (pag. 91). L’amore di Mirjam e del cosacco nel campo di grano già alto e pronto per la mietitura (GIOBBE; II, 54) può venire inteso come simbolo di questa simbiosi, così come nella novella Il cosacco che si era perso dello scrittore jiddish Fischi Schneersohn (1887-1927) l’ebreo dell’est viene preso per un cosacco dalla confraternita di credo occidentale della sinagoga di Berlino. La “ patria “ può essere situata nell’est, ma l’est è solo il proprio paese che il protagonista del racconto di Schneersohn ha abbandonato per portare la moglie malata dai medici a Berlino. La “ patria “, l’ “ impero “, l’Austria esistono solo a casa : “ La propria patria (…) era forse ancora l’Austria “ (I, 280) , pensa Carl Joseph von Trotta.


II IDILLIO E RIVOLUZIONE


Hermann Kesten ha scritto nella sua Ode a Joseph Roth che se lo scrittore vivesse ancora a lui “ non andrebbe bene “ Herbert Marcuse. Al di là del sottile tono del poeta da locale del caffè, che è così tipico di Kesten, la polemica allusione a Marcuse sottolinea indirettamente una parte fondamentale dell’ebraismo in Roth. Se è permesso ricondurre un fenomeno così stratificato a più livelli ad una formula schematica allora nell’ambito dell’antistoricismo ebreo si lasciano distinguere due direzioni pienamente diverse, se non persino opposte. Con riferimento al sionismo Kafka notò che gli israeliti desideravano avere una patria nello spazio al posto della loro patria diaspora che è il tempo.Forse bisognerebbe dire più precisamente che la patria degli ebrei della diaspora è da trovarsi in un’assenza di tempo. Dalla distruzione del tempio il popolo d’Israele ha continuato a vivere non più nel divenire, bensì in un libro, nelle parole e nella scrittura, nella torah che comprende anche il tempo prima ancora della creazione stessa. Il libro, ha spiegato Maurice Blanchot, significa la non esistenza del tempo ; la tradizione ebrea sembra essere articolata attraverso i secoli secondo rigidi/fissi archetipi ed il modello della ripetizione. Tutto il modo di narrare del grande scrittore jiddish ancora vivente Isaac Bashevis Singer si basa per esempio su una dimensione sincronica che prescinde da ogni categoria temporale vera e propria.

Il rifiuto della storia temporale rivela due direzioni. Con la rottura dei “ vasi sacri “, come si dice nel testo più importante della mistica ebrea, cioè nel Sohar o Libro dello splendore (XIII sec.), le scintille della luce divina sono precipitate nell’oscurità e si sono mescolate ad essa, il Bene si è unito dappertutto con il Male e la Shekhinà o la presenza di Dio è stata bandita. La patria deve trovarsi obbligatoriamente al di fuori dell’esilio, al di là della storia temporale, così come Itaca era situata lontano dalle battaglie alle mura di Troia e distante dalle tempeste marine sulla via del ritorno. Oggi la moderna utopia si collega troppo profondamente con la tematica ebrea dell’esilio nella sua rivolta antistorica. Ernst Bloch ha parlato della “ patria “ che “ sembra a tutti ricondurre alla fanciullezza e dove ancora non è stato nessuno. “ Ma Bloch cerca la patria in un futuro senza tempo, mentre Roth la vede proprio nell’assenza di tempo della fanciullezza, cioè indietro invece che avanti, ad Itaca come l’omerico Ulisse, invece che alle Colonne di Ercole come in Dante.

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